Alessandro Pasuto

L’Istituto di Ricerca per la Protezione Idrogeologica (IRPI) del CNRsvolge attività di ricerca e sviluppo nel settore dei rischi naturali, per la protezione territoriale e ambientale, e per lo sfruttamento sostenibile delle geo-risorse. Le attività riguardano prevalentemente i rischi geo-idrologici, ed in particolare le piene e le inondazioni, le colate di detrito, le frane (anche indotte dai terremoti), i movimenti di massa, i fenomeni erosivi, glaciali e peri-glaciali, l’evoluzione delle coste, i fenomeni di subsidenza e di sollevamento, l’inquinamento e il depauperamento delle risorse idriche superficiali e sotterranee. L’istituto svolge inoltre attività di consulenza scientifica e tecnologica per il monitoraggio e la caratterizzazione dei suoli, per la pianificazione territoriale e di bacino, e per la protezione civile e l’adattamento ai cambiamenti climatici. E’ riconosciuto come Centro di Competenza della rete funzionale del Dipartimento Nazionale della Protezione Civile e della Presidenza del Consiglio dei Ministri. L’intervista è di Alessandro Pasuto, Dirigente di Ricerca dell’Istituto di Ricerca per la Protezione Idrogeologica (IRPI) del Consiglio Nazionale delle Ricerche (CNR), sede di Padova.

L’IRPI ha lanciato nel 2014 un laboratorio congiunto, il Sino-Italian Joint Laboratory on Geological and Hydrological Hazards, con l’Institute of Mountain Hazards and Environment (IMHE). Quali sono i principali progetti nati in seno a questo joint lab ? 
In realtà l’inizio della collaborazione con l’IMHE della Chinese Academy of Sciences (CAS) di Chengdu risale al 2010; il grande terremoto di Wenchuan (12 maggio 2008) aveva da poco devastato una grande area nella provincia del Sichuan, provocando quasi 70.000 morti e danni incalcolabili oltre a numerosissime frane che avevano completamente stravolto il paesaggio e i colleghi cinesi erano ancora fortemente impegnati nella fase post emergenziale. Ci fu quasi una richiesta di aiuto per lavorare insieme sulla dinamica dei processi di frana al fine di mitigarne gli effetti e ridurre i rischi per le popolazioni esposte. Da allora oltre alla costituzione del laboratorio congiunto siamo fortemente impegnati, come leader partner, nella valutazione della pericolosità da frana all’interno del grande progetto BRI (Belt and Road Initiative) ovvero la nuova via della seta commerciale, lanciato dal governo cinese alcuni anni orsono. Parallelamente abbiamo avviato un progetto sulle barriere flessibili da utilizzare a protezione delle strutture antropiche, nel caso di colate di detrito. Abbiamo inoltre partecipato con successo ad una call della Provincia del Sichuan per lo studio di piene improvvise ed infine, siamo stati tra i promotori dalla ANSO-DRR (Alliance of National Scientific Organizations on Disaster Risk Reduction) una associazione internazionale che raggruppa numerose realtà accademiche che si occupano di riduzione dei rischi naturali.

Il laboratorio congiunto rappresenta una piattaforma di cooperazione per scienziati cinesi ed italiani al fine di migliorare le ricerche comuni. Nel suo settore di riferimento, quali sono i risultati raggiunti e quali benefici hanno portato al territorio o coinvolto la società civile per aumentare la consapevolezza e la resilienza di queste aree?
Purtroppo, come è chiaro ormai da diversi anni, i cambiamenti climatici hanno portato ad una modifica quasi irreversibile della dinamica dei fenomeni che inducono frane e alluvioni. Bisogna quindi imparare a convivere con i rischi e a ridurre la vulnerabilità della nostra società. In questo contesto il laboratorio congiunto sta lavorando in due direzioni: da un lato studiando i processi e monitorando la loro evoluzione nel tempo, anche attraverso la modellazione (fisica e numerica) e lo sviluppo di sensori innovativi per la misura di parametri ambientali; dall’altro operando in stretto contatto con le amministrazioni pubbliche per la creazione di una cultura della prevenzione e della consapevolezza quanto mai fondamentale nella riduzione dell’impatto di questi fenomeni sul tessuto sociale ed economico dei due paesi. Il laboratorio congiunto è dunque in prima linea per il trasferimento tecnologico e di conoscenza tra l’ambiente accademico e la società civile attraverso un dialogo continuo con alcune municipalità della provincia del Sichuan particolarmente colpite da fenomeni di dissesto.  

L’IRPI si occupa principalmente di studio e monitoraggio del territorio per la protezione ambientale e la mitigazione dei rischi naturali. Quali sono le differenze e le similitudini con la Cina in termini di approccio verso questi studi?
Da subito si è creata una grande sintonia di intenti avendo i due Paesi problemi simili nel far fronte alle emergenze derivanti dal dissesto idrogeologico. L’entità delle risorse messe a disposizione dai due Paesi è però sensibilmente diversa. In Italia si investe poco in prevenzione e ancora meno in conoscenza. Siamo carenti sia dal punto di vista delle risorse economiche che umane. La Cina negli ultimi anni ha intrapreso un sostanzioso programma di costante finanziamento e di arruolamento di giovani ricercatori che la sta portando ai primi posti per produttività scientifica. È poi vero che parte di tale produzione scientifica non sempre è di qualità. In Italia invece, nonostante i problemi di cui si è appena fatto cenno, la produttività è sempre di elevato livello e l’esperienza maturata negli ultimi decenni ci porta ad essere considerati un punto di riferimento a livello internazionale nel settore del rischio idrogeologico e, più in generale, dei rischi naturali.

Quali sono a suo parere le principali sfide e i vantaggi della cooperazione scientifica con la Cina in questo periodo post-pandemico che porta una grande attenzione all’ambiente?
Negli ultimi anni la Cina sta assumendo un ruolo fondamentale non solo in Asia ma a livello globale e si sta facendo promotrice, tra le altre cose, di politiche ambientali attente alla mitigazione dei rischi naturali e alla sostenibilità degli interventi strutturali e non. In questo contesto vi sono massicci investimenti governativi e la CAS è sicuramente uno dei punti di riferimento almeno per quanto riguarda il nostro settore. La collaborazione CNR-CAS risulta quindi strategica per i mutui benefici che entrambi i Paesi possono ottenere in questo ambito. C’è una sorta di complementarietà tra le due parti. Grandi infrastrutture di ricerca e grandi opportunità di investimento da una parte e grande esperienza e competitività internazionale dall’altra con un obiettivo comune: rendere il pianeta meno vulnerabile agli effetti del cambiamento climatico che sono sotto gli occhi di tutti e, naturalmente, fare in modo che questo cambiamento non superi il punto di non ritorno. E, almeno nel nostro settore, c’è ancora qualche margine di azione, seppur sempre più ridotto.