Il Centro Studi sulla Cina Contemporanea (CSCC) è un’organizzazione autonoma/no-profit che intende promuovere in Italia una conoscenza sistemica e strutturata della Cina contemporanea, con specifica enfasi su politica, economia, cultura, società. In tali ambiti il CSCC sviluppa un’attività di ricerca e studi al livello internazionale, al servizio dei soggetti italiani interessati ad interagire a diverso titolo con la Repubblica Popolare Cinese, oltre che eventi ed attività informativa e formativa per il pubblico interessato a vario titolo a tematiche cinesi.
L’intervista è di Michelangelo Cocco, giornalista, analista politico e cofondatore del Centro studi sulla Cina contemporanea, nonché autore di “Una Cina “perfetta” La Nuova era del PCC tra ideologia e controllo sociale” pubblicato recentemente da Carocci Editore.
In questi ultimi dieci anni la RPC ha investito molto in R&S, quali sono le priorità e gli obiettivi del paese in ambito scientifico e tecnologico ?
Lo sviluppo scientifico e tecnologico rappresenta per la leadership cinese una priorità assoluta, una conditio sine qua non per l’avvento di una manifattura avanzata, che permetterebbe di sfornare prodotti migliori, pagare salari più alti, rafforzare finalmente il welfare… In questo quadro si giustificano i massicci investimenti di Pechino nella formazione di laureati e dottorati STEM (scienza, tecnologia, ingegneria, matematica) e nei settori dell’Intelligenza artificiale e dell’internet delle cose (IoT), ambiti strategici per colmare il gap con Stati Uniti, Giappone e Germania.
Sul tema dell’ambiente la Cina sembra intenzionata a raggiungere gli obiettivi di Parigi e ridurre la sua impronta sul pianeta. Qual è lo stato dell’arte oggi ?
Xi Jinping ha appena promesso all’Assemblea generale delle Nazioni unite di raggiungere la cosiddetta “neutralità climatica” (emissioni zero) entro il 2060. Gli obiettivi della Cina per contenere i cambiamenti climatici sono molto ambiziosi, anche per tentare di rafforzare la cooperazione con la “verde e tedesca” Unione europea, in una fase in cui viene boicottata dagli Stati Uniti che – non dimentichiamolo – hanno stracciato l’Accordo di Parigi. Sarà estremamente interessante osservare come la Cina proverà a coniugare gli impegni assunti con la necessità di rimanere una potenza manifatturiera e sviluppare le sue aree interne e occidentali che avranno bisogno di tanta energia.
Con un’istruzione più avanzata e con un accesso maggiore alle conoscenze, quale sarà il peso dei giovani nel futuro della Cina ?
I giovani sempre più istruiti e perennemente connessi della Cina condizioneranno sempre più il potere politico, che già negli ultimi anni ha dovuto tener conto delle esigenze e delle aspirazioni della classe media più numerosa del pianeta (oltre 400 milioni di persone) promettendole – lo ha fatto solennemente Xi Jinping in occasione del XIX Congresso del Partito – «una vita migliore». Se la Cina continuerà ad aprirsi al mondo, c’è da aspettarsi che i suoi giovani chiederanno sempre di più ai loro governanti.
Da un punto di vista politico, come ritiene cambieranno i rapporti di cooperazione internazionale tra Italia e Cina a seguito della pandemia?
Ritengo che il governo italiano si sia mosso in maniera corretta, evitando di rivolgere a Pechino critiche non circostanziate sulla sua gestione della pandemia. Le accuse mosse da imperi ed ex imperi (Usa e Gran Bretagna) hanno infatti suscitato sdegno e irritazione nel potere e nel popolo, risvegliando i ricordi del “secolo dell’umiliazione” coloniale. Inoltre Roma in teoria vanta nei confronti di Pechino un credito per essere stato l’unico paese del G7 ad aver avallato la nuova via della Seta. Tuttavia, lo scarso peso politico (per i continui cambi di maggioranza) dei governi italiani agli occhi di Pechino continuerà a rendere poco “spendibile” qualsiasi manifestazione di amicizia.
Quali sono secondo Lei gli elementi che possono aiutare alla ripartenza dei rapporti economici tra i due paesi?
Come tutti sappiamo, la manifattura italiana (per non parlare del settore del turismo) è caratterizzata da una gran quantità di PMI d’eccellenza. Bisognerebbe che un sistema che desse finalmente la dovuta importanza al rapporto bilaterale con la Cina accompagnasse e promuovesse queste aziende, che nei prossimi anni avrebbero l’opportunità di produrre non più per i mercati internazionali ma per la Cina stessa, mercato sempre più ricco per settori – come meccanica, abbigliamento, agri-food, lusso… – nei quali il nostro paese è fortissimo ed è già un brand riconosciuto in Cina.