Sergio Minucci (Università degli Studi della Campania ‘Luigi Vanvitelli’)| la mobilità, spinta dai diplomi a doppio titolo, rimane il caposaldo per l’internazionalizzazione delle università

L’Università degli Studi della Campania Luigi Vanvitelli costituita da sedici dipartimenti e sedi dislocate tra Napoli e Caserta, ex Seconda Università, promuove un’offerta formativa professionalizzante e integrata con il territorio. Sostiene la ricerca di qualità e favorisce la nascita di nuove iniziative imprenditoriali nate dai gruppi di ricerca, in una costante ottica di internazionalizzazione e di scambio culturale con altre università.

L’intervista a Sergio Minucci, Delegato per l’Internazionalizzazione e la Mobilità dell’Università degli Studi della Campania ‘Luigi Vanvitelli’

Da diversi anni l’Ateneo ha moltiplicato i rapporti di cooperazione con la Cina, quali sono i principali risultati di questa apertura verso l’Oriente?

I rapporti che intratteniamo con le università cinesi sono soprattutto di tipo didattico, abbiamo creato alcuni programmi di studio a doppio titolo. I programmi di studio presenti nella nostra offerta formativa toccano diversi ambiti disciplinari tra cui quello di disegno industriale per la moda e architettura. Questi accordi permettono di far pervenire in due semestri un certo numero di studenti selezionati che vogliono fare questo tipo di esperienza in Italia e in Cina; di solito, sono tra i 5 e 10 studenti cinesi che vengono da noi per un’annualità completa oppure per un semestre; parimenti, i nostri si recano in Cina per lo stesso periodo di tempo. Generalmente, la lingua veicolare utilizzata per consentire di seguire le lezioni agevolmente è l’inglese. La creazione di doppi titoli favorisce sicuramente uno degli aspetti più importanti dell’internazionalizzazione: la mobilità, purtroppo bloccata quest’anno dalla pandemia.

Come avete superato le difficoltà e proseguito la cooperazione con la Cina in questi mesi della pandemia?

Purtroppo, molti progetti nascenti e alcune iniziative, causa Covid, si sono arenati.  La cooperazione ad ogni modo è proseguita via web con Skype e zoom call; di recente, ho avuto modo di sentire i colleghi cinesi, i quali stanno attendendo con ansia di poter riprendere i progetti di ricerca avviati con il nostro Ateneo.

Quali sono i principali progetti di collaborazione attualmente in atto per facilitare la mobilità studentesca e del personale docente in questo periodo post covid?

Grazie agli agreements stipulati con le università cinesi, sul piano della didattica abbiamo ottenuto non solo la mobilità studentesca, ma anche del personale docente. I corsi tenuti dai nostri docenti in alcune facoltà cinesi sono molto apprezzati dai cinesi stessi che ne riconoscono l’alta qualificazione. I cinesi sono attualmente molto più interessati agli ambiti della tecnologia, della moda, del disegno industriale, dell’ingegneria e della medicina, ambiti di appartenenza del nostro Ateneo. Gli accordi firmati, infatti, riguardano principalmente questi campi di ricerca. Personalmente, ho tenuto dei seminari in Cina nel campo della biologia, mi occupo soprattutto del campo della biologia riproduttiva. Sono stato invitato in alcune università cinesi dove, peraltro, si sono tenuti dei workshop molto interessanti e da cui sono nate importanti collaborazioni e progetti di ricerca comuni. Alcune iniziative, poi, sono nate grazie alla pubblicazione di un numero speciale sulla rivista scientifica Frontiers in endocrinology  (di cui io e due professori dell’Università di Pechino siamo editors) dedicata agli aspetti riproduttivi. Inoltre, il prof. Apicella Professore di Scienza e Tecnologia dei Materiali, sta svolgendo con l’Università di Chongqing un progetto di ricerca sull’uso di nuovi materiali e tecnologie nel settore della biomeccanica e delle protesi biomimetiche. La cooperazione, accompagnata dall’Istituto Galileo Galilei presente sul campus di Chongqing, vede rapidamente la creazione di un laboratorio di ricerca congiunto.

Perché oggi consiglierebbe a un giovane ricercatore di svolgere un periodo di specializzazione o ricerca in Cina?

Sicuramente la realtà cinese è di grande appeal per un ricercatore europeo. L’attrattiva, dapprima suscitata dagli States e di cui anche io ho subito il fascino, essendomi recato per un periodo di studio negli USA, è ormai superata; il futuro della ricerca è nei paesi orientali. La grande progettualità tipicamente cinese, le strutture di ricerca e i finanziamenti di cui predispone la Cina sono molto più elevati rispetto agli altri paesi occidentali. Dunque, un giovane ricercatore che si reca in Cina avrà un’esperienza molto forte perché si troverà a contatto con tecnologie avanzate e sarà direttamente coinvolto nel lavoro come protagonista nella ricerca e avrà opportunità che purtroppo da noi non ci sono. Senza trascurare il fatto che andare in Cina significa vedere anche un altro modo di vivere, un altro tipo di realtà che rende l’esperienza di ricerca unica nel suo genere.